Gli appassionati di orologeria si suddividono in due grandi categorie: i “puristi” che considerano l'orologio tale solo se provvisto di un movimento meccanico, e i “tecnologici” che pur di avere al polso un misuratore del tempo in grado di esaltare ed assolvere funzioni di ogni genere accettano che i circuiti elettronici siano l’anima del loro strumento. In realtà il divario ideologico tra queste due scuole di pensiero, pur essendo ancora netto e marcato, non è più abissale come qualche tempo fa, e questo in virtù dell’affidabilità e della esasperazione tecnologica che gli orologi al quarzo sono in grado di esibire. Se esistono da una parte movimenti meccanici dozzinali e meccanismi eccelsi, così, nell’orologeria elettronica possiamo incontrare prodotti di bassa lega o gioielli di tecnologia e miniaturizzazione. Si impone quindi, anche per gli scettici, l’obbligo di volgere uno sguardo curioso anche al mondo dell’elettronica da polso. Cos’è un orologio al quarzo? Come funziona?
Occorre prima di tutto puntualizzare che prenderemo in considerazione esclusivamente orologi analogici, quelli, perciò, che mostrano l’orario attraverso il classico e storico metodo delle lancette. Si chiama “orologio al quarzo” perché si serve delle caratteristiche peculiari di questo cristallo per raggiungere la precisione e l’accuratezza a cui ci ha abituato: esso, infatti, vanta capacità specifiche che lo rendono pressoché unico a questi scopi. Se sottoposto ad una compressione, il quarzo produce una differenza di potenziale elettrico, mentre se sollecitato elettricamente vibra a frequenze pressoché costanti. Queste abilità lo avvicinano ad essere un circuito oscillatore (stand alone) e per di più di grande precisione. In orologeria il cristallo di quarzo viene calcolato, tagliato e modellato in modo da oscillare ad una frequenza di 2^15 Hertz, il che significa che riesce ad oscillare 32768 volte ogni secondo. Ne deriva che dividendo per 2 e per 15 volte questa oscillazione, si otterrà perfettamente un impulso al secondo. Da notare che già in questa fase si può evidenziare la differenza tra un orologio al quarzo di buona qualità ed uno dozzinale: il cristallo raggiunge una precisione ancora maggiore dopo essere stato a lungo sollecitato, e quindi dopo avere normalizzato la propria elasticità. Questo è il motivo per cui gli orologi di sensibile pregio tecnico montano quarzi “stagionati”, che abbiano oscillato per almeno un anno in laboratorio. E’ estremamente indicativo rilevare che negli orologi delle ultime generazioni non viene più utilizzato il trimmer (condensatore variabile che serviva per regolare la precisione dell’oscillazione): ormai il quarzo raggiunge una straordinaria stabilità e viene tarato in fabbrica. Attraverso il modulo elettronico (che ha come protagonisti circuito integrato, bobina e circuito stampato) l’impulso viene prodotto alternativamente ogni secondo alle estremità di un ponte sfalsato, il quale circonda il rotore, e che di conseguenza e per via della variazione della polarità in funzione dell’alternanza, viene attratto magneticamente ogni secondo, sempre e soltanto in una direzione. Questo sistema (il più semplice e classico) viene definito “passo a passo”. Altre ruote, opportunamente collegate al rotore, servono da demoltiplica per trascinare le lancette. L’energia necessaria al funzionamento viene fornita dalla batteria che può essere al litio (con un potenziale elettrico di 3 V) o all’ossido di argento (con un voltaggio di 1,55 V). In realtà la frequenza di oscillazione di un quarzo può essere influenzata anche dalla temperatura. Osservando il grafico della sua curva di risposta in funzione termica il fenomeno risulta essere molto evidente. In termini pratici e non tecnici significa che ogni importante variazione di temperatura, sia essa in aumento o in diminuzione, produce come effetto un rallentamento dell'oscillazione e quindi della marcia oraria. Il cristallo di quarzo assolve così anche funzioni di termometro (o meglio di termostato). Negli anni ’90, ad esempio, i tecnici della Longines produssero il “V.H.P.”, acronimo di “very high precision”, orologio con doppio quarzo: uno oscillatore (tradizionale), e l’altro che fungeva da termometro per innescare in caso di variazione termica un circuito correttore dell’oscillazione: in questo modo l’orologio correggeva autonomamente la deriva del quarzo sfruttando la causa della deriva stessa. Il quarzo è fisicamente racchiuso in un cilindretto metallico, e “interagisce” con l’esterno tramite due terminali saldati sul circuito stampato. Un orologio al quarzo può essere smontato da un tecnico con relativa facilità, adottando precauzioni di base, quali ad esempio una protezione anti-statica (un bracciale che scarica a terra ogni micro-tensione elettrica, anche quella statica). L’orologio al quarzo si può suddividere in parte meccanica e parte elettronica, le quali possono essere testate, riparate e/o sostituite indipendentemente. Le tipologie di guasto degli orologi a quarzo sono molto inferiori numericamente rispetto a quelle dei meccanici, mentre il discorso è inverso se si considerano le casistiche: ne deriva che ci sono varietà maggiori di guasto nei meccanici, ma si verificano, nel complesso, con meno frequenza. Adottando uno schema molto semplificato (e se si vuole essere pignoli neppure assolutamente corretto) potremmo affermare che considerando le funzioni svolte dai componenti più importanti esiste, concettualmente, un'analogia per ciò che concerne lo schema tra un orologio al quarzo ed uno meccanico. Sotto questo aspetto il confronto può essere così sintetizzato:
I segnatempo meccanici sono i Prodotti prediletti degli appassionati,
come me, di alta orologeria.
Gli orologi automatici sono una tipologia di orologio da polso capaci di ricaricarsi sfruttando l’energia cinetica del movimento del braccio. In questo modo, quindi, questi orologi non richiedono una carica manuale come, invece, avviene, per gli altri modelli. Il primo orologio automatico risale addirittura ai primi del ‘700 e da allora, in linea di principio, il meccanismo è rimasto pressoché invariato escludendo ovviamente tutte le piccole migliorie inevitabili grazie al miglioramento delle tecnologie e della tecnica. Gli orologi meccanici tradizionali, come tutti siamo abituati a conoscerli, presentano la corona e il rocchetto ossia il dispositivo di rotazione per la carica manuale dell’orologio: questo sistema, negli orologi automatici, viene sostituito da un peso che effettua un movimento oscillante in un alloggiamento prestabilito quando il polso e il braccio effettuano un qualunque movimento. Osservate l’immagine seguente nella quale vengono messe bene in evidenza le differenze costruttive fondamentali tra le due filosofie "manuale" ed "automatico":
Negli “automatici” quindi l’energia cinetica del braccio crea altra energia cinetica con l’oscillazione ma, questa energia, deve essere in qualche modo trasferita al sistema di carica e ciò avviene attraverso una levetta collegata a un cricchetto che si trova a diretto contatto con la molla di carica. Quindi, semplificando il tutto, quando il braccio si muove mette in movimento il peso che agisce sulla leva del cricchetto che, in questo modo, effettua un lavoro di compressione sulla molla che, quindi, si ricarica e da nuova energia al meccanismo dell’orologio. Ovviamente il mondo di noi appassionati si divide tra chi è a favore di questi orologi e non li sostituirebbe con nessun altro meccanismo e chi, invece, non li ritiene validi come un un normale orologio meccanico a carica manuale. Tra gli aspetti positivi di questi orologi, dal punto di vista della praticità, c’è senza dubbio la comodità di non doverlo ricaricare manualmente ogni giorno; inoltre, questo sistema, permette all’orologio di restare pulito più a lungo perché non è soggetto alle intromissioni di polvere nel meccanismo interno, come invece accade col meccanismo di ricarica manuale attraverso la corona, che mette a dura prova le guarnizioni di protezione. Inoltre, la carica automatica è costante e questo permette all’orologio di avere sempre la stessa quantità di carica, ossia la stessa forza nella molla, per un funzionamento più fluido. Visto il meccanismo di funzionamento automatico, questi orologi vengono solitamente definiti perpetui, perché teoricamente fin quando il braccio su cui sono allacciati si muove, al meccanismo viene garantita la carica. In realtà questo può non avvenire del tutto, e questo è uno dei fattori “contro” di questa tipologia di orologi. Se un orologio a carica automatica viene tenuto fermo per un periodo di tempo piuttosto lungo, infatti, il suo funzionamento potrebbe risentirne nella precisione, perché gli ingranaggi non possiedono più la fluidità di funzionamento e a quel punto sarebbe necessario aprirlo per farlo controllare da un tecnico esperto: qualunque orologio a carica automatica che viene aperto per essere sistemato rischia di perdere perde buona parte della precisione che lo contraddistingue se la manutenzione non viene effettuata da mani esperte. Nonostante questi orologi, nella loro costruzione moderna, abbiano un dispositivo che evita una carica eccessiva sulla molla, chi effettua un’attività intensa avrà sempre problemi a farlo funzionare regolarmente, perché la troppa energia cinetica accumulata è dannosa per gli ingranaggi. Entrando un po’ più nel dettaglio (senza esagerare) potremmo dire che, in linea di massima, le sezioni principali di un orologio meccanico si possono dividere in nove componenti:
Caricando l’orologio attraverso la corona di messa in orario, attraverso un sistema di trasmissione e che comprende alcune ruote (rocchetto di carica, rocchetto scorrevole, ruota di trasmissione, ruota del bariletto e bariletto), viene armata una molla in acciaio temperato contenuta in un contenitore dentellato a forma di barile basso chiamato appunto bariletto. Il bariletto, con la molla completamente armata, tenderà a sprigionare una forza centrifuga che metterà in movimento una ruota chiamata “ruota di centro” chiamata così perché, solitamente, posta al centro del meccanismo tradizionale. La ruota di centro, a sua volta, collegata a quella di centro attraverso il suo pignone tenderà a girare in senso contrario armando a sua volta un’ulteriore ruota chiamata “ruota mediana”. Quest’ultima si trova in stretto contatto con la “ruota dei secondi” il cui nome è definito dal fatto che questa compie un giro di 360° in scatti da 60 ogni minuto, scandendo di fatto il secondo. Questo risultato è ottenuto attraverso formule piuttosto complesse che portano a determinare il numero dei denti delle ruote e di ogni loro pignone in modo da “dividere” il tempo di scarica della molla. Ovviamente, se ci si fermasse a questo punto, la ruota dei secondi non scandirebbe il tempo in modo attendibile, anzi la molla armata, provocherebbe l’immediata rotazione di tutte le ruote e si scaricherebbe in pochi attimi, facendo compiere “giri” vertiginosi a tutto il treno del ruotismo. Dalla necessità di scandire lo scorrere del tempo in modo appropriato nasce lo “scappamento”. Questo termine è parecchio ricorrente in tutta la Storia dell’Orologeria perché dalla sua qualità è dipesa in gran parte l’evoluzione di questa disciplina e la creazione di movimenti meccanici sempre più performanti. Nel tempo si sono susseguiti diversi tipi di scappamento: prima quello a cilindro, poi quello ad àncora, via via perfezionato, sfociato nell'attuale scappamento coassiale inventato da Omega. In parole povere, lo scappamento è quel sistema che consente di trasformare il movimento delle ruote (che girano in senso planare) in movimento oscillatorio, ovvero a scatti. Provvede inoltre ad arrestare, e quindi a controllare, la forza impressa dalla molla sulle ruote. Per arrivare a questo scopo si serve di due componenti molto importanti: la “ruota di scappamento” e l’àncora. La prima è una ruota dalla forma inconfondibile e perciò molto particolare: la sua dentatura è infatti modellata in modo spingere non altri denti di ruota, ma superfici piane.
Lo scatto dell’àncora determina il classico “tic-tac” del funzionamento dell’orologio. Limitando il funzionamento solo all’àncora, però, il nostro movimento non funzionerebbe: la forza della molla che spinge in un senso costringerebbe le ruote a forzare sulla ruota di scappamento che indurrebbe l’àncora a spostarsi SI da una parte senza però ottenere un ulteriore spostamento al fine di liberare un successivo scatto. Interviene quindi il bilanciere: questo organo è considerato giustamente "il cuore del sistema" e, devo dire, presenta parecchie attinenze l’organo cardiaco umano. Il bilanciere, come il cuore, pulsa ad una frequenza regolare e prestabilita. I moderni orologi arrivano normalmente a 28.800 alternanze ogni ora, ma in alcuni casi ci si spinge a ritmi molto superiori, incrementando la divisione dei Tempi. Ma come funziona un bilanciere? Prima di tutto occorre premettere la sua composizione. La prima cosa che colpisce l’occhio, osservandolo da vicino, è la presenza di un volantino, spesso caratterizzato da una barra che ne percorre il diametro, oppure da tre raggi. Il volantino è attraversato (in senso verticale, perfettamente perpendicolare e al centro) da un asse sul quale sono fissati spirale (sulla parte superiore) e plateau sulla parte inferiore. Il tutto è poi ancorato ad un ponte di copertura e fissaggio. Non spaventiamoci dinnanzi a questi termini e vediamo invece come interagiscono tra essi rispetto all’ancora. Abbiamo lasciato l’àncora ferma su una delle sue posizioni. La molla a spirale consente, alla minima sollecitazione, di tirare in posizione contraria il volantino a cui è legata. Lo spostamento del volantino consente al plateau, che è incuneato nella forcella dell’àncora, di spostarla nella posizione opposta di volta in volta, liberando quindi lo scatto della ruota di scappamento, e quindi via via tutte le altre ruote, fino a che la molla non sarà completamente disarmata (generalmente in 38/42 ore circa). Date un'occhiata al filmato seguente: un esempio dal vivo sulla composizione del bilanciere è illuminante!
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